Darshana (visioni)

Queste sono le dottrine brahmaniche, codificate per contrastare le dottrine eterodosse; la base è poggiata sui Veda e sulle Upanishad, i testi sacri per eccellenza. Sono sei:

 Mimansa, Samkhya, Yoga, Vaisheshika, Nyaya, Vedanta

 

nota: in alcuni testi si legge "per un punto passano infinite rette, ed infiniti quanto gli uomini sono i modi di raggiungere l'illuminazione, ma quante rette non passano per quel punto ?? Queste sono sei rette che sappiamo con certezza passarci"


 

 

Mimansa: realismo essenziale

testo principale Mimansa Sutra di Jaimini

Il mondo esiste, le cose sono composte di atomi e la legge del karma regola l’universo. L’oggetto principale è il dharma, inteso come dovere, obbligo, propulsore di ogni azione.

La liberazione è l’attingimento della realtà celeste (svarga). Come raggiungerla ?

Prabhakara (VII sec d.c) con azioni disinteressate; ci si limita a rispettare le ingiunzioni Vediche perché la liberazione comporta la cessazione di merito/demerito.

Kumarila Bhatta (VII sec d.c) non con azioni disinteressate ma con la meditazione; essenziali sono i Veda, considerati la parola (suono di Brahman). Grande oppositore del Buddhismo.

 

Samkhya: finalità pratica, eliminazione del dolore

testo principale Samkhya karika di Isvarakrishna

altra opera: Samkhya pravacana sutra

Neanche i Veda assicurano all’uomo la conoscenza perfetta e sono quindi secondari, per raggiungere la liberazione occorre comprendere la natura autentica della realtà.

Elementi fondamentali sono Prakriti (natura) e Purusha (uomo, spirito)

La natura, con un atto unico, si autodetermina in una pluralità di aspetti che, di per sé, non hanno una esistenza effettiva. Anche se sembra che un elemento si sussegue ad un altro, in realtà tutto avviene contemporaneamente ed in maniera illusoria (Maya). Si determina l’ahamkara, per cui un elemento si riconosce come Io ed inizia una organizzazione percettiva composta di 25 principi con cui l’enumerazione (samkhya) termina. Gli elementi della natura sono determinati da 3 componenti fondamentali detti Guna (qualità): sattva, rajas e tamas, rispettivamente positivo, attivo inibitore; sattva illumina le cose, rajas le attiva, tamas le limita.

La realtà comunque non può esaurirsi con la natura, attiva ma di fatto inconsapevole; dovrà esistere un elemento a lei opposto e complementare anche perché, ammettendo la legge del karma, dovrà esistere qualcosa di diverso dal corpo in grado di sottrarsi alla trasmigrazione. Si tratta del Purusha (spirito), le cui qualità sono la consapevolezza e la passività; è lo spettatore di un film in cui non può intervenire ma ne rimane coinvolto. Natura e spirito sono rappresentati come il cieco e lo zoppo nella foresta, i protagonisti di una storia indiana.

Il dolore in ultima analisi, affligge lo spirito e permane finché il corpo sottile non venga distrutto al momento della liberazione; in quel momento la natura, come una danzatrice, sospende il suo spettacolo e si ritira, mentre lo spirito apprende che lo spettacolo è terminato e non può più provare alcun tipo di emozione. E’ da notare che è la natura a trasmigrare, nel suo aspetto di corpo sottile, e non lo spirito che non resta vincolato ad alcunché; è quindi la natura a fruire della liberazione, lo spirito prende solo atto che non c’è più nulla di cui gioire o rattristarsi. (Come mai allora lo spirito ha reazioni emotive? In quanto si identifica con qualcosa di illusorio, l’individualità).

Il Samkhya non si richiama ad alcuna pratica meditativa e pone in secondo piano le ingiunzioni Vediche; tuttavia la comprensione a cui si richiama non è verbale o logica, ma intuitiva e concerne l’illusorietà dell’individualità. Successivamente si unì allo Yoga, da cui mutuò l’interesse per le pratiche meditative, in particolare per il dhyana, intesa come contemplazione meditativa, che comporta una sottile osservazione delle cose, tale da cogliere la distinzione tra spirito e natura.

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Yoga: approccio etico- meditativo, significa congiungere, aggiogare, legare

testo principale Yoga sutra di Patanjali

Il pensiero-coscienza ci vincola ad una concezione erronea della realtà, lasciandoci credere che esistono oggetti ben determinati separati gli uni dagli altri, facendoci quindi cadere nella sfere delle distinzioni. Il risultato è la consegna al ciclo delle trasmigrazioni. La coscienza viene modificata (maculata) dagli oggetti ed è vittima di una continua illusione, ma il mondo esiste realmente, siamo noi che non ne abbiamo la cognizione corretta. Come può una realtà illusoria condizionarci al punto da generare in noi passioni e desideri ? Si dovrà quindi realizzare uno stato di indifferenza e non attaccamento nei confronti delle cose. Ma l’uomo comune non è consapevole della propria ignoranza ed è schiavo delle cose, le desidera o le rifiuta a seconda che gli diano piacere o dolore, e ne vuole sempre di più per alimentare le proprie passioni. La conoscenza yogica invece permette la totale identificazione tra soggetto ed oggetto; questa sorta di conoscenza intuitiva (prajina) fa sì che lo yogin attinga una visione nuova ed autentica delle cose, non più correlata al flusso delle idee o rappresentazioni. La definizione che ne viene data di yoga è infatti soppressione delle modificazioni della mente, oppure cessazione dell’attività turbinosa del pensiero etc..

Per mitigare gli effetti delle varie maculazioni o impurità, dalle quali si è contaminati a causa dell’ignoranza, lo yoga prescrive: ascesi, studio ed abbandono. L’ascesi comporta l’austerità ed una vita scevra da passioni e desideri; lo studio riguarda i testi sacri e lo studio di sé, finalizzati alla conoscenza della propria essenza autentica; l’abbandono è un consegnarsi al Signore in maniera totale, dove Signore non è esattamente Dio, ma una Super personalità che si è liberata tramite lo yoga stesso.

Si insite molto sul valore dell’esperienza meditativa e sull’etica, piani strettamente correlati ai fini della liberazione, e si prescrive un sentiero composto di 8 fasi o membri quale addestramento indispensabile; gli otto membri sono: Yama, Niyama, Asana, Pranayama, Pratiahara, Dharana, Dhyana, Samadhi.

Yama (astensioni) riguarda le azioni o atteggiamenti da evitare: danneggiare gli altri, la menzogna, il furto, la sessualità e la cupidigia.

Niyama (obblighi) riguarda le azioni o atteggiamenti da fare: la pulizia, il contentarsi, l’ascesi, lo studio di sé e l’abbandono. La pulizia in particolare, interiore ed esteriore, implica il disgusto per il proprio corpo (impuro e sporco necessariamente) e la tendenza ad evitare il contatto con altri corpi.

Asana (posture) parte dall’idea che il corpo debba essere padroneggiato ed addomesticato, o potrebbe costituire l’ostacolo principale alla liberazione. Non costituisce una sorta di ginnastica, bensì è finalizzata all’addestramento della coscienza (citta), anche se gli effetti benefici sono riscontrabili anche sul corpo.

Pranayama (controllo del respiro) è sintonizzare il proprio soffio vitale con quello dell’Universo, attraverso il ritmo e la profondità

Pratiahara (dissoluzione, ritiro dei sensi) comporta lo scollegare gli organi sensoriali dai loro oggetti specifici, in modo che i sensi assumano la forma della coscienza e si percepisca la realtà come è veramente

Dharana (concentrazione) è una pratica meditativa grazie alla quale la coscienza o la mente si fissa su un punto particolare, che diviene rappresentativo dell’intero universo. Lo scopo è disciplinare la mente, costringendola ad assumere una determinata direzione.

Dhyana (meditazione) con questa tecnica si permette al flusso dei pensieri di vagare, osservandone la nascita e la direzione. Anche se diametralmente opposta alla fase precedente, il fine è il medesimo: il controllo della mente e la consapevolezza dell’effettiva inconsistenza dei pensieri.

Samadhi (compimento, estasi) questo è il fine dell’addestramento, il momento in cui soggetto ed oggetto si fondono in un vuoto inqualificabile. E’ da sottolineare che questo risultato si dovrebbe perseguire a prescindere dalla propria volontà cosciente

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Vaisheshica: filosofia della natura

testo principale Vaisheshica sutra di Kanada

La scuola espone una articolata filosofia della natura la cui conoscenza, assieme all’aspetto etico, è il presupposto indispensabile per attingere alla liberazione (conoscenza e d etica). La natura può essere delucidata in base a 3 realtà (artha): dravya, guna, karma.

Dravya è composta di 9 sostanze: terra, acqua, aria, fuoco, etere (akasha), spazio, tempo, mente, sé (atman). Le prime 4 caratterizzano realtà concrete, anche se intese come elementi strutturali piuttosto che fisici e si compongono di atomi (anu=sottile). Il quinto è la fonte del suono, è una sostanza eterna e non consta di atomi; sesto e settimo sono condizioni della realtà naturale; la mente (manas) è l’elemento che consente la formazione della coscienza, mentre il sé è l’elemento accentratore, fruitore dei processi cognitivi e sperimentatore del piacere/dolore.

Guna è la qualità della sostanza, ne determina il carattere ma non l’esistenza; sono 24.

Karma (azione) si riferisce ai movimenti ed alle attività delle cose: è il dinamismo della realtà naturale. Le azioni infatti risultano dagli effetti delle sostanze e delle qualità.

L’esistenza viene concepita come un insieme di relazioni ma, a differenza del Samkhya, l’effetto non è già contenuto nella causa, ma è qualcosa di nuovo. Questo in quanto il Samkhya pone l’acccento sulla matrice unica delle cose (prakriti), la continuità della realtà e l’aspetto evolutivo totale; il Vaisheshica invece sostiene una concezione atomistica della natura, la pluralità si rivela più importante della matrice ed ogni cosa è una nuova combinazione di elementi sottili (benché la realtà sia unitaria).

Da un punto di vista etico, viene ovviamente riconosciuta l’autorità dei Veda e le 4 fasi della vita bhamaniche che sono:

giovinezza, che comporta lo studio presso la casa del maestro, accompagnato da abluzioni, sacrifici, digiuni e castità

età adulta, vita pratica, formazione di una famiglia e suo sostentamento

mezza età, che interviene alla nascita del primo nipote e che comporta l’eremitaggio nei boschi alla totale conoscenza di sé

vecchiaia, in cui l’uomo, che ha rinunciato al mondo, porta il proprio eremitaggio nelle città, quale esempio e guida per gli altri

Il destino comunque dipende dalle azioni e tutte le attività comportano degli effetti (frutti); la liberazione consiste in una particolare congiunzione (yoga) del mentale (manas) e del sé (atman) che permette di superare la conoscenza delle cose abituale, relativa alle immagini ed alle rappresentazioni. Non ci sono pratiche meditative, si può dire che l’osservazione della natura sia lo strumento determinante per la perfezione etica.

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Nyaya: logica del concreto, viene dalla radice ni = condurre

testo principale Nyaya sutra di Gaudama

Viene ammessa la concezione del karma ed il fine è sempre quello della liberazione dal ciclo delle nascite e delle morti, ma il mezzo non è la sola conoscenza basata sull’osservazione della natura, viene esaltato anche lo sviluppo dell’abilità logico-discorsiva, abilità che conduce appunto alla liberazione. Gli strumenti della conoscenza sono:

la percezione, che risulta dal contatto tra un senso ed il suo oggetto (il mondo esiste e gli oggetti hanno una esistenza concreta che non necessita di dimostrazione alcuna)

l’inerzia, che da un elemento percepito permette che se ne ricavi uno non percepito (dedurre il fuoco dalla vista del fumo)

la comparazione, che da un dato noto permette di ricavarne l’ignoto (classificare un oggetto in base all’affinità con uno già noto)

la testimonianza verbale, il frutto dell’esperienza di un veggente (gli autori dei Veda)

La logica di Gaudama non perde mai di vista la realtà naturale; essa è atomistica come nel Vaisheshica, per rendere conto della differenza di dimensione delle cose. L’esistenza di un sé (atman) o centro individuale deve essere ammessa senza bisogno di dimostrazione, per giustificare le nostre azioni nei confronti delle cose ed il manas, o centro psichico, è il responsabile dell’attività mentale. Una volta raggiunta la conoscenza della verità, il manas ed il sé si uniscono ed il manas si ritira dagli oggetti dei sensi come in un sonno senza sogni. Viene preso in esame anche Dio (Isvara), considerato il padre ma non il creatore del mondo, ma ben presto ne viene accantonato lo studio, sostenendo che i mezzi di conoscenza non permettono di sondarne a fondo la natura. La logica costituisce la via regia alla liberazione, ma per giungere alla conoscenza non si può prescindere da Yama, Niyama, Asana e Dhyana (influsso dello Yoga). Questa scuola si fuse successivamente con il Vaisheshica.

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Vedanta: filosofia del reale

testo principale: Brahma o Vedanta sutra

Gaudapada: Mandukya karika, commento alla Mandukya Upanisad

Shamkara: commento al Vedanta sutra

Ramanuja: Gribhashya, commento al Vedanta sutra

Madhva: Madhva bhashya, commento al Vedanta sutra

Il primo sistematizzatore degli insegnamenti vedantici è Gaudapada, che formula la teoria della non origine, la quale afferma che il mondo è soltanto apparenza, illusione, di fatto non è mai stato creato e la pluralità dei fenomeni non è reale ; la realtà assoluta si rivela non duale ed immutabile ed in essa si rivela la completa identità fra Brahman ed Atman. Si delineano quindi due punti di vista : quello convenzionale legato alla dualità e quello non duale della realtà suprema ; come nello Yogacara si sostiene che le cose dipendono dalla mente, per cui in assenza della coscienza esse non hanno alcun significato, così secondo Gaudapada il mondo, in quanto illusione, non può esistere a prescindere dalla coscienza di Brahman. La realtà ha un valore relativo, permette agli uomini di comunicare e scambiarsi le esperienze, ma comunque anche l’individuo non è reale, ma una componente del gioco eterno che il principio cosmico B./A. realizza con sé stesso. Vengono riconosciuti 4 stati di coscienza (Mandukya Up.): vigile, onirico, del sonno profondo ed indefinibile. Nel primo si è coscienti delle cose esterne, nel secondo di quelle interne, nel terzo si prescinde dalla dualità ma si è ancora immersi nella ignoranza, nel quarto (turiya) non si dorme più ed è lo stato dell’illuminazione. Questa meta viene raggiunta grazie all’Asparsha Yoga, una forma di meditazione con cui si prende coscienza del carattere illusorio del mondo. Come per il Mahayana l’iiluminazione non è uno stato da raggiungere, in quanto ogni sé è già realizzato, cioè nel Brahman da sempre.

Shamkara riprende gli spunti di Gaudapada per rielaborarli in una nuova, personale concezione filosofica, benchè si definisca soltanto un espositore del contenuto dei Veda. Questa concezione è riassumibile nella metafora della corda e del serpente: nella penombra si scambia una corda per un serpente, ma poi si scopre che l’oggetto in questione è una corda. Mentre Gaudapada sostiene il carattere illusorio del mondo, Shamkara asserisce che il mondo, benché immerso nell’illusione, ha una propria realtà relativa (il serpente). Se scambiamo una corda per un serpente è perché dopotutto esiste un oggetto accessibile alla percezione; sarà una conoscenza più approfondita che ci permetterà di individuarne l’autentica natura. Si pensi al serpente, esso esiste in quanto qualcuno lo scambia con una corda, ma è assai arduo precisare di che tipo di esistenza si tratti; quando si è in preda alla maya si soggiace ad una sorta di ignoranza (avidya) e non si coglie la natura autentica delle cose, questo in quanto la maya ci presenta, nei caratteri del finito, ciò che in realtà è infinito (Brahman). Viene ripresa quindi la concezione dei due punti di vista: quello fenomenico e quello della realtà suprema, il primo soddisfa una finalità pratica mentre il secondo una ontologica; nel primo caso gli uomini possono scambiarsi il frutto delle esperienze, nel secondo possono accedere alla realtà suprema. Il mondo è quindi avvolto nella maya (magia) la quale altro non è che la Shakti, la potenza creatrice del principio unico, che la genera ma non ne è contaminato, ed è la maya che, attraverso le opportune modalità, permette agli uomini di accedere al Brahman. Finché non si coglie il vero fondamento delle cose, si consiglia comunque un atteggiamento etico e le pratiche religiose, la pratica funge da espediente finché non si attinga l’essenza del Brahman.

In questa prospettiva, quale è il valore della conoscenza ? Sul piano convenzionale i sensi ci ingannano (corda-serpente), ma di tutto si può dubitare tranne della non esistenza di qualcuno che dubiti, ovvero del proprio sé (Cartesio). Tutti i mezzi di conoscenza daltronde derivano dal sé, in base all’esperienza che possiamo trarne, quindi si tratta di chiarire le modalità della liberazione e la conoscenza che vi si connetta. La legge del karma esiste soltanto per coloro che non abbiano ancora penetrato l’essenza del Brahman ; finché si crede all’esistenza di una individualità trasmigrante si resta sul piano convenzionale, all’ottusa distinzione tra B. e Atman, identici sul piano reale. Ed anche la meditazione non è uno strumento indispensabile alla liberazione, essa può preparare il terreno ma mai consentire di attingerla ; ci mostra che esiste un altro modo di concepire la realtà ma senza dischiudercela. Nessun tipo di azione o pratica è in grado di rimuovere completamente l’ignoranza, soltanto la conoscenza autentica permette di raggiungere la liberazione definitiva (moksha). Come si acquisti la conoscenza autentica è il grande problema ; se non dipende dall’ubbidienza alle prescrizioni, né dalle astensioni, non dalle azioni né dalla meditazione e nemmeno dalla logica o conoscenza discorsiva fondata sulle distinzioni, a cosa bisogna affidarsi ? Shamkara parla di una sorta di Super razionalità, fondata sulle facoltà intuitive, che ci permette di entrare in identità con l’assoluto; la conoscenza che ci rende consapevoli della nostra perfezione, cioè del Brahman, è frutto di intuizioni. Non esistono comunque facoltà da respingere, quelle intellettuali possono benissimo continuare a svolgere le loro funzioni purché non le si lasci padrone del campo, ed anche le altre visioni brahmaniche sono valide, importante è cogliere il peculiare contributo alla conoscenza del Brahman che può venire da qualsiasi dottrina.

Ramanuja critica le posizioni di Shamkara sostenendo che il segreto della vita è celato nella non dualità attraverso la differenza, e che la liberazione si ottiene dopo la morte, in virtù della grazia divina e del completo abbandono al Signore. Il Brahman Nirguna (senza attributi) di Shamkara non deve essere preso alla lettera, il principio cosmico è infatti qualificato in 3 realtà : Dio o Signore (Ishvara), le individualità coscienti (cit) o viventi (jiva) e l’incosciente (acit) o mondo. Questi 3 elementi non sono illusori ma concreti, ed entrano in rapporto tra loro ; il mondo e le individualità sono gli attributi del Signore, di cui sono pervasi, e questultimo è una sorta di coscienza suprema, immanente e trascendente. Immanente perché controlla ed è presente nel mondo, trascendente in quanto la sua essenza eccede i limiti dello stesso; inoltre non muta benché gli altri 2 elementi, che ne costituiscono il corpo, siano soggetti a continue trasformazioni. Il filosofo vorrebbe attenersi al Brahman come principio cosmico, ma dall’altro formula una concezione personale della divinità, così come per l’individualità che, da un lato è condizionato e vincolato ai frutti delle azioni (karma) e dall’altro la sua essenza è inerente al Brahman e quindi libera ed imperitura. Anche per Ramanuja la liberazione si ottiene attraverso la conoscenza autentica, ma il significato e le modalità sono molto differenti; il cosciente finché si identificherà con il corpo i sensi e la mente (ciò che non è) non potrà attingere alla liberazione e sarà sempre più legato al karma. Egli dovrà impegnarsi nello studio e la pratica dei Veda quale condizione preliminare, proseguire con azioni disinteressate ed arrivare alla conoscenza autentica attraverso la devozione (bhakti) al Signore, cioè affidandosi completamente in modo da conoscerlo intuitivamente. Non è l’individualità a vincolare il cosciente alla trasmigrazione, bensì l’egoità, cioè l’identificarsi con mente e corpo, ma la soppressione del vincolo karmico non è ancora sufficiente alla liberazione, occorre un altro elemento, la grazia divina, senza la quale ogni sforzo individuale si rivelerebbe vano. La liberazione tuttavia non consiste nella dissoluzione di un elemento in un altro, cioè dell’atman nel Brahman; l’individuo diviene solo simile ma non identico all’Ishvara, egli lo serve nel miglior modo possibile attraverso la propria realizzazione. Ramanuja rilegge il grande detto tattvam asì (tu sei quello) lasciando al cosciente la propria individualità, egli infatti partecipa della stessa essenza del divino da cui risulta nel contempo differente, confermando il principio della non dualità nella differenza.

Madhva è il sostenitore del dualismo in seno agli sviluppi del vedanta ; nell’ambito della dottrina della conoscenza si avvicina al Nyaya ammettendo i 3 mezzi o fonti :

la percezione, ovvero l’esperienza sensoriale

l’inferenza, la constatazione di un fenomeno non percettivo sulla base di uno sensoriale

la testimonianza verbale, ovvero i testi sacri (Veda)

Subisce inoltre l’influsso di Ramanuja riguardo le 3 entità reali e l’assunto fondamentale che il cosciente e l’incosciente sono dipendenti dal signore, il quale gestisce il karma. Questultimo è una divinità personale che deve essere oggetto di adorazione e che lui chiama Vishnu. Al contrario però di Ramanuja, che enfatizza l’identità dei 3 elementi, Madhva ne enfatizza le differenze e formula la teoria delle 5 differenze:

Differenza tra coscienti : non esiste solo una differenza di individualità ma anche di particolarità tra un vivente ed un altro ( ?)

Differenza tra cosciente ed incosciente : cosciente ed incosciente non sono il corpo di Dio ed in questa prospettiva identici

Differenza tra incoscienti: ogni frammento del mondo, o incosciente, è diverso da un altro

Differenza tra cosciente e Dio: il cosciente alla liberazione partecipa della natura di Dio, ma ne diviene simile, non parte

Differenza tra incosciente e Dio: l’incosciente non è il corpo di Dio pur dipendendone, ed è quindi differente da lui.

Il Dio di Madhva è lo stesso Brahman, non più impersonale, ed è separato dal vivente e dal mondo che tuttavia controlla. Fu acerrimo nemico di Shamkara che accusava di essere un buddhista travestito.

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